Il presente e il passato: storie e racconti del Rugby Frassinelle
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- Torneo Ferrara, anno 1980
- A proposito di pomate
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- Fiesso 1979
Nel campionato 1981/1982 a causa di abbandoni, servizio militare e altre motivazioni, il Fiesso ormai Frassinelle, si sciolse per continuare l’attività a livello giovanile. Attività che diede lustro alla piccola società e alla Rugby Rovigo.
I giocatori che avevano voglia di continuare a divertirsi si accasarono presso società limitrofe: Dall’O al San Sisto, numerosi al Cus Ferrara e alcuni a Rovigo su indicazione di Lello Salvan.
Il Cus Ferrara disputava il campionato di serie C2 nel girone emiliano e annoverava tra le sua fila numerosi “rovigoti” o, come venivamo chiamati dai ferraresi “venezian”. In una partita su quindici giocatori tredici erano veneti, tra cui Narciso e Alessandro Zanella. Il campionato fu vinto senza sconfitte dal Ferrara che vinse anche ambedue le partite dello spareggio con il Thiene. Nella seconda e decisiva partita contro il Thiene a Ferrara su un placcaggio kamikaze a un pilone cubico avversario lasciai la mia clavicola destra. La cosa curiosa di quell’annata sportiva è stata la quantità di derby. Mi dicevano: domenica contro il Bologna è derby e giù p.s.p. (pugni, schiaffi e peà), quella successiva con il Pieve di Cento idem, con il Modena idem, con il Piacenza non era derby però ci furono tanti p.s.p.
Presi lentamente consapevolezza che forse i ferraresi non erano tanto amati in emilia-romagna.
Allenatore di quel Cus Ferrara era Doro Quaglio.
Quando nel campionato ‘84/’85, sulle ceneri del San Sisto e dalle giovanili dell’AsPoR 80, si ricostituì la società a Frassinelle, qualche giocatore rimase a Ferrara diventando avversario proprio contro gli ex compagni di Fiesso/Frassinelle.
I giocatori di Fiesso che militavano in squadre diverse si conoscevano molto bene. Pellegrinelli era un pilone molto forte, difficile da affrontare e placcare di fronte a causa del baricentro basso. Ma se questo era motivo di vantaggio in molte situazioni in qualche altra costituiva un handicap, avendo il baricentro basso ed il busto robusto e pesante per fermarlo bastava lasciarlo passare per dargli un colpetto neanche tanto forte sulla nuca. Con quel buffetto si sbilanciava in avanti il corpo di Pellegrinelli che cadeva sbattendo, qualche volta, il muso per terra, un po’ come il torero con il toro. Olè!
Con la maglia nera del Cus Ferrara si riconoscono da sinistra: Vanni Carrara(il mostro), Marangoni e Pellegrinelli. Con la maglia giallo/blu il pilone destro del Frassinelle Angelo Milani, il compianto Bobo.
Nel campionato di serie C del 1980 il Fiesso giocò il primo campionato nel vecchio campo di calcio di Frassinelle, che poi diventò la culla, la “tana” del Frassinelle. Quel campionato fu anche, se non ricordo male, anche l’ultimo del Fiesso, l’anno successivo, campionato ‘80/’81, divenne AsPoR 80, dove l’acronimo stava per Associazione Polesana Rugby.
Fiesso in quel campionato si confrontò con realtà consolidate e più esperte, nel girone di andata i risultati non furono esaltanti anche se molto soddisfacenti, con il procedere delle partite aumentò la dimestichezza, l’esperienza dei ragazzi di Lello Salvan. Memorabile nel girone di andata fu la trasferta a Feltre, partimmo in corriera e vi giungemmo in tarda mattinata. Non ricordo a che ora fu la partita, però mi ricordo benissimo che quando giungemmo a Feltre cercammo un bar per un caffè, un cappuccio, una brioche, qualcosa insomma con cui fare colazione. Eravamo nel bar quando entrarono un paio di “elementi” che, se non giocavano a rugby lo potevano tranquillamente fare, si avvicinarono al banco e chiesero il solito. Il solito, vista l’ora era la colazione, consisteva in una grappa. Una grappa e basta, senza che ne so … un caffè, una brioche, un panino col salame, no una grappa. La solita grappa non era una solita grappa qualsiasi ma doppia, anzi tripla se non quadrupla, cioè questi invece di prendere una tazza di cappuccino la prendevano di grappa. Osservai la scena, squadrai gli “elementi” e pensai: “speriamo che non giochino oggi”.
Invece giocarono e forse la grappa non era la solita, magari non era buona, sicuramente era meglio se non la bevevano. Fattostà che erano incazzati, molto incazzati e con l’alito cattivo. Giuro che guardandoli al bar me ne sono stato in disparte, discretamente, senza commentare, sperando che nel giorno del signore si sentissero tutti buoni … ma forse erano atei.
Per quella partita Lello Salvan convocò anche qualche debuttante, non che gli altri fossero qualcosa di più, confidando nel fatto che in base ai risultati dei nostri avversari doveva essere una gara tranquilla. La partita si incanalò dal calcio di inizio in p.s.p. (pugni, schiaffi e peà), loro avevano un tallonatore simil-francese che forse pensava di essere alla finale del campionato di serie A, era cattivo, ma cattivo …
Erano anche grossi oltreché cattivi e così neutralizzarono il nostro punto forte: la mischia. Ogni raggruppamento, mischia o touche erano p.s.p., se si cadeva a terra erano calcioni che arrivavano dappertutto, il povero Lauro Bertoldo ne ricevette uno che lo costrinse ad uscire e urinare sangue. I p.s.p. arrivavano non solo nelle fasi calde del gioco ma anche con il pallone lontano.
Era come trovarsi in un temporale, con la grandine e senza ombrello.
Perdemmo la partita 3 a 0, Zanini e qualche altro riuscirono a tamponare in qualche modo la veemenza e il risultato, anche con le maniere forti. A Bertoldo che stava uscendo dal campo dolorante, a seguito del calcione ai reni dato dal simil-francese, il grande Zanna disse:”tra dieci minuti verrà a farti compagnia”. Esattamente dieci minuti dopo, nell’infermeria del campo, il tallonatore simil-francese entrò dolorante, quando si tolse la maglia sul petto aveva ben impressi otto fori rossi attorniati da altrettanti ematomi, corrispondevano esattamente ai tacchetti di una scarpa da gioco numero 44. I debuttanti rimasero traumatizzati al punto che qualcuno non giocò mai più dopo quella partita. Qualcuno si domandò se questo era rugby, se valeva la pena rischiare la propria incolumità per un gioco. Eravamo dilettanti, molti di noi erano lavoratori con famiglie a carico e rischiare il posto di lavoro per un gioco …
Poi ci riprendemmo alla grande e quella fu l’unica sconfitta del campionato.
Nel tempo ci furono altre partite dure, altri colpi, ma il rugby è un’ottima palestra di vita perché ti insegna a “combattere” sempre anche quando sei inferiore e il tuo avversario è più forte. Sempre.
Tanto più sarai in grado di superare i momenti più bui, quanto più sarai più forte dopo, quando li avrai superati.
Aspettammo il ritorno a Frassinelle con ansia intrisa di sete di rivalsa, alla faccia del fair play del rugby.
Il vecchio campo di Frassinelle è abbastanza stretto e su tutta la lunghezza del lato nord è limitato dal argine del Canal Bianco, alto circa tre metri.
Quel giorno avevamo “la bava alla bocca”, aspettavamo il Feltre e il tallonatore simil-francese. Quel giorno non si facevano prigionieri.
Ci eravamo preparati accuratamente con la mischia perché con il campo stretto non c’era molto spazio per la cavalleria leggera dei trequarti.
Quella partita me la ricordo bene, oh si … me la ricordo molto bene!
In mischia fummo devastanti, in spinta travolgemmo i nostro avversari e quando, travolti, erano sotto i nostri piedi li pregammo di contare attentamente il numero dei nostri tacchetti. Un paio di volte spingemmo indietro il pacchetto di mischia avversario, otto uomini, fin su per l’argine e non ci fermammo neanche dopo il fischio del arbitro, erano annichiliti. Non c’è niente di più esaltante per un giocatore di mischia che travolgere un avversario, sentirlo cedere sotto la spinta, intimidirlo con l’aggressività e la determinazione. Ha ragione Vittorio Munari quando parla della mischia come della fanteria nella prima guerra mondiale, la lotta di trincea nel fango, senza esclusione di colpi, altrochè fair play! Dopo, magari al terzo tempo, sicuramente, ma durante … Poi a quel tempo il rugby era anche questo.
In quella partita la nostra apertura, credo Dall’O Loriano, appena riceveva il pallone lo giocava ancora all’interno per cercare il sostegno della mischia, oppure con un calcione alto metteva l’estremo, l’ultimo difensore, sotto la pressione del nostri cani da caccia, io ero uno di questi ed era una goduria …
Il tallonatore simil-francese non c’era, meglio per lui, ad esser precisi si scoprì dopo che non aveva voluto scendere in campo e quindi vide la partita dai finestrini delle corriera.
La partita la vincemmo agevolmente e del Feltre non sentimmo più parlare se non qualche anno dopo.
Ma questa è un’altra storia.
Nella foto in alto, in piedi: Marangoni (dirigente), Michelotto V., Pellegrinelli, Bertoldo, Zanini, De Stefani, Ghisellini,Piovan, Mora, Sgarbi, Marangoni, Frigato, Tomassetti (dirigente).
Accosciati: Salvan F. Pivelli, Tosini, Calzavarini, Vanin, Ghirardello, Nicoli, Dall’O.
Il San Sisto Rugby nacque nel 1977 e la sua sede era a Borsea dove si trova attualmente un campo di calcio. Alla fine degli anni ’70 l’entusiasmo per lo scudetto del Rovigo nel ’76 infiammò anche questa popolosa frazione di Rovigo, se Villadose era la squadra più quadrata ed equilibrata, San Sisto era la più “ruspante”, la più sanguigna.
A Roverdicrè c’era Romano Bettarello, a Fiesso Lello Salvan, a Villadose Adriano Zamana, al San Sisto non c’erano nomi altisonanti, forse perché troppo “umili” rispetto alla “noblesse” elitaria di certi ambienti rugbystici rodigini.
Borsea, quartiere operaio, immerso nella zona industriale di Rovigo, ad un passo ci sono la fonderia, la Meco, la Tosimobili ed una miriade di altre fabbriche e laboratori.
Borsea periferia di Rovigo, baricentro di un territorio che comprende: Sant’Apollinare, Pontecchio, San Sisto e tutta la periferia sud di Rovigo.
San Sisto Rugby così sanguigno, così “ruspante”, naif, riusciva a competere con il Villadose e a sconfiggerlo, con il Fiesso non ci siamo mai riusciti.
Io ci sono arrivato nel 1984, Fiesso/Frassinelle si era sciolto un paio d’anni prima e io nel ‘83/’84 avevo disputato un buon campionato con il Cus Ferrara, fui avvicinato dall’amico, compagno di scuola ed ex del Fiesso Loriano Dall’O. Nella primavera del 1984 Loriano mi chiese di dargli una mano come allenatore con il San Sisto, dovevano effettuare gli spareggi per la permanenza in C1 contro Jesi e il loro allenatore, l’ex giocatore del Rovigo e della nazionale Sintich, aveva dato forfait. Costo dell’ingaggio lire: zero punto zero. Visto e considerato l’alettante ingaggio accettai subito.
A Frassinelle con Lello Salvan ero abituato ad una certa disciplina, un comportamento “dignitoso”, alla presenza agli allenamenti, insomma ad un atteggiamento rispettoso dell’impegno verso la squadra e la società. Al San Sisto? Tutto molto più naif, presenze agli allenamenti? I soliti quattro gatti. Comportamento “dignitoso”? insomma, tra una bestemmia e l’altra il linguaggio era abbastanza corretto. Tra una bestemmia e l’altra non c’erano molte parole. Però tra compagni di squadra e verso la società il rispetto era massimo, i giocatori, seppur di modeste disponibilità, erano disposti a finanziare le trasferte e i terzi tempi; fra di loro c’era poi un mutuo soccorso e un cameratismo commovente. In poche altre realtà ho trovato tanta unione.
Appena conclusi il primo allenamento a Borsea fui soddisfatto nel constatare che la prima impressione avuta era assolutamente corrispondente alla realtà: un disastro! Gente che arrivava in ritardo senza giustificarsi, fuori forma, senza nessuna cognizione di cosa fosse la tecnica individuale e di squadra. Tattica? Bho! Preparazione atletica? Lasciamo perdere, c’erano delle panze imbarazzanti. Ero sinceramente imbarazzato e disperato, come potevo affrontare uno spareggio per la C1 con quel materiale umano? Arrivò il giorno della partita d’andata a Borsea. Fu una partita equilibrata che vincemmo mi pare 12 a 10. Quindici giorni dopo andammo a Jesi con qualche timore, si prospettava una partita durissima perché avevano una buona mischia e trequarti migliori. Schierai in prima linea tre piloni, Beppe Nese, Marino e Il Bobo Milani, in seconda linea: l’ex pugile Incanuti e Pellegrini( che poteva essere pugile), in terza spostai il tallonatore Piero Mato ( meraviglioso combattente). Pensai che se si doveva giocarsela la si giocasse con tutte le armi possibili, per il fair play c’era tempo e comunque le nostre caratteristiche erano queste, alla malora tutto il resto!
Fu una battaglia che vincemmo 9 a 6 o qualcosa del genere. La mischia fu fondamentale e i giocatori furono commoventi per impegno e sacrificio.
A dirla tutta furono anche abili maniscalchi e a Jesi credo si ricordino ancora del San Sisto.
Allenatore vincente non si cambia e così firmai per la stagione successiva alle stesse modalità dell’ingaggio precedente: zero lire, zero rimborsi, zero di tutto. Ero veramente soddisfatto, mi avrebbe cambiato la vita.
La stagione 1984-1985 vedeva il San Sisto impegnato contro squadre espressione di realtà molto più importanti e tradizione consolidata: Cus Verona, Venezia, Rubano, Cittadella e naturalmente Villadose.
Disputammo un buon campionato considerando le nostre peculiarità, vincevamo o perdevamo sempre per pochi punti, che so … 12 a 10, 6 a 4, eccetera. Memorabili furono le due sfide con Villadose e Venezia, una vinta e una persa con ambedue. Con Villadose perdemmo in trasferta ma in casa … a Borsea … che battaglia! Loro avevano uno squadrone, infarcito di grandi nomi, ragazzi che avevano appena lasciato la seria A e noi che schieravamo panzoni, ex pugili, fiorai, con più partite che allenamenti nelle gambe e un tasso alcoolico nelle vene da brividi. Io ero giocatore e allenatore, di quella partita ricordo che dopo una mezzora fui colto da attacchi di diarrea e chiesi il cambio. La tensione nervosa mi ha sempre colpito lo stomaco. I ragazzi furono splendidi, il Villadose attaccava con folate furiose e noi li a combattere su ogni filo d’erba, a contendere ogni centimetro di campo, meravigliosi.
Noi con i calzettoni spaiati.
Noi con le maglie consumate.
Noi con le panze.
E loro? Il Villadose all’andata ci aveva battuto un po’ largamente, perciò si presentò a Borsea con una buona dose di supponenza, loro lottavano per i primi posti, noi navigavamo in fondo. Loro con le loro tute in raso lucido, loro: tutti belli, allenati, in forma, sbarbati, con un look da grandi. Ed il sorriso dei predestinati.
Se non fosse stato il Villadose.
Se non fossero stati così supponenti.
Se non fossero stati così belli, avrebbero vinto largamente quella partita.
Ma lo erano e questa fu la loro colpa.
Le due partite contro il Venezia sono da ricordare per due motivi: il primo è che il Venezia era allenato da Guy Pardies, grande mediano del Petrarca e grande sportivo, il secondo perché dopo la sconfitta all’andata in casa vincemmo in trasferta al Lido.
La partita all’andata fu quasi un monologo del San Sisto, dominammo la partita e solo un grande Pardies riuscì a portare alla vittoria il Venezia, credo sia stata una delle sue ultime partite. Io giocai terza linea, un cacciatore, ma non riuscii mai a prenderlo con il pallone in mano, solo una volta lo placcai duramente e un po’ in ritardo ( Doro diceva sempre:”non fare mai un giro per niente”), lui si alzò, mi diede la mano e guardandomi mi disse con lo sguardo sincero: “bravò”.
Non lo placcai più in ritardo, anzi, non riuscii più a placcarlo.
Il ritorno a Venezia e più precisamente alle “Terre perse” località Lido affrontammo la partita di ritorno.
Una partita che non significava niente per noi ed invece era abbastanza importante per i veneziani. Giocammo come contro il Villadose, come contro lo Jesi, come il San Sisto.
Furono p.s.p. (pugni, schiaffi e peà) ma al termine della partita uscimmo vincitori, credo fummo i soli a vincere contro il Venezia al Lido. A fine partita Pardies venne a complimentarsi con tutti noi.
Il campionato 1984-1985 finiva in maniera più che dignitosa per il San Sisto Rugby, al termine di quell’annata la società si sciolse, gran parte dei giocatori contribuì a far nascere il Frassinelle, qualcuno emigrò a Villadose.
Cosa mi rimane di quel periodo? Il ricordo terrificante dello spogliatoio, era piccolissimo, con il tetto di eternit ondulato, pieno di spifferi(l’inverno 1984-1985 fu uno dei più nevosi degli ultimi anni). Mi ricordo che il primo arrivato in spogliatoio si occupava di accendere la stufa a Kerosene o la caldaia a gas. Mi ricordo anche il freddo, la neve e l’acqua calda insufficiente. Gli allenamenti in sei, otto o dieci al massimo.
Due grandi protagonisti del San Sisto Rugby: Angelo Milani e Incanuti, ambedue mancati prematuramente. A loro non è mai mancato un pensiero dai loro compagni di squadra.
Ma ciò che ricordo di più è il senso di appartenenza di quel gruppo brutto, sporco e cattivo, ma con un cuore così grande che non ho ancora finito di scoprire e apprezzare.
Cos’è stato San Sisto? Per me è stata l’espressione più popolare del rugby di quegli anni, la più profonda. Non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivenza, il San Sisto era fuori tempo, un dinosauro, il rugby stava cambiando: tre allenamenti, al minimo due, la settimana; disciplina in campo e fuori, preparazione atletica, tattica e tecnica fondamentali.
San Sisto era il rugby dei minatori gallesi, dei baschi francesi.
San Sisto era il rugby degli anni sessanta/settanta.
San Sisto è stato un bel posto in cui giocare a rebbi.
Credo fosse la tarda primavera del 1980, il Fiesso Rugby partecipò ad un torneo a Ferrara. Oltre ai padroni di casa e a noi, mi ricordo solo di un’altra squadra che incrociammo poi a distanza di anni in serie B, ma questa è un’altra storia. Delle altre partecipanti non ricordo assolutamente niente.
La partita con il Cesena la ricordo bene, alla convocazione arrivai in ritardo, strano ma non per colpa mia, e l’allenatore/giocatore Lello Salvan mi tenne in panchina per punizione. L’essere in panca nel primo tempo mi caricò per bene e all’inizio della seconda frazione di gioco, scontata la pena, entrai in campo teso come una molla e con gli occhi di tigre direbbe Velasco.
La partita fu molto combattuta e ci furono anche sporadiche scaramucce, i romagnoli erano molto aggressivi oltre che prestanti fisicamente e ci pressarono nella nostra metà campo.
Fu a seguito di un raggruppamento a cinque metri dalla nostra linea di meta che il Dio dei rugbysti mi consegnò tra le mani un pallone d’oro e mi disse:”corri ragazzo, corri!”. E io corsi.
Schivai un avversario, ne allontanai un altro con una manata, mi ripetei con altro ancora e corsi … e corsi più veloce di tutti. Segnai la mia meta più “lunga”, 75 metri di campo, per finire in mezzo ai pali, mi girai e dietro di me c’era solo l’arbitro Borgato, ex campione italiano, il quale al mio tergiversare in mezzo ai pali guardando gli avversari quasi irridendoli, mi disse, con la sua voce calma e profonda: “segna, se no te l’annullo e ti do anche calcio di punizione contro”.
Mi affrettai a segnare e a gioire molto sommessamente.
In finale incontrammo il Cus Ferrara al motovelodromo, era di pomeriggio, c’era caldo ed il campo aveva tanta erba quanti i miei capelli attualmente in testa. Per portare a casa la vittoria della partita e del torneo faticammo non poco.
Per i miei capelli invece non ci fu niente da fare.
Nelle foto presenti sulla gallery si riconoscono:
con il 20 il compianto Gastone Rivarolo;
Maurizio Sgarbi con i suoi baffi;
Lauro Bertoldo con gli stessi capelli di adesso;
Dario Calzavarini ai centri;
Vanni Bala Chiarion;
Sgram (fiessesizzazione dall'inglese Scrum-mischia);
Ghisellini Ghisa;
Ghisellini Causio;
Marangoni Marcellino che poi andrà a Rovigo e a Ferrara;
Sprocati “Mondo” che, al ritorno dal “Borsa” a Rovigo, pensò bene di parcheggiare la sua Fiat 850 in un fosso nei pressi di Fiesso, io ero con lui;
Lombardi Piernarciso all'ala;
Lello Salvan perennemente pettinato;
Loriano Dall'O solidamente all’apertura;
Federico Ovi Salvan che già allora contestava l’arbitro;
un incredibile Pierangelo Tomassetti magro e io, me medesimo, con il numero 8 e la fascia in testa per impedire la fuga dei neuroni.
Sul fronte Ferrara un segnalinee rodigino DOC: Pierangelo Mazzetto.
Le maglie erano sponsorizzate da una televisione privata, ATR, di Rovigo, famosa soprattutto per gli spogliarelli dopo mezzanotte, gli “atieresessisciò”.
Il mitico olio canforato, usato e abusato in qualsiasi attività sportiva all’aperto fino a qualche anno fa, forse, impregnava con il suo odore i nostri abiti invernali che fossero paltot, maglioni di lana e adesso solo i nostri ricordi.
Questo è il tempo della tecnologia, maglie termiche, paraspalle, paradenti, parastinchi e anche diversi paraculi. Una volta non c’era tutta quella roba lì, per il freddo ci si metteva una maglia grossa di lana che fungeva anche da paraspalle, per gli stinchi non ricordo venissero usate protezioni ma credo di no, mentre i paraculi c’erano, eccome se c’erano. I palloni poi … adesso hanno il grip, indispensabile per avere qualche possibilità che l’ultimo passaggio ti resti in mano, così non ti fai sacramentare dietro.
Il problema era se pioveva, il pallone di cuoio impregnato d’acqua pesava almeno tre chili oltre che scivolare come una saponetta, la maglia da gioco aumentava di peso e di almeno tre taglie mentre quella di lana aumentava al solito una taglia in più delle maglie, in modo da sporgere almeno di una spanna sia verso le ginocchia che nelle maniche. I caschetti erano rari e rudimentali, allora ci si arrangiava come si poteva, bende con nastro da elettricista e tanta, tanta vasellina, per chi, come me, giocava seconda linea, a parte i padiglioni auricolari “strofagnati”, le tempie e la fronte erano spesso raschiati per bene dallo sfregamento dai pantaloncini dei piloni, dalla terra e sabbia dei campi da gioco.
Mi ricordo chiaramente che le tempie e i padiglioni auricolari la domenica sera erano in “carne viva”, il lunedì si faceva la “brozza” che il martedì, allenamento, si rompeva, per rifarsi il mercoledì, ma il giovedì e il venerdì si rompeva di nuovo, allenamento e rifinitura, sanguinando copiosamente.
Per fortuna arrivava il sabato!
Il giorno dopo, domenica, con la partita si riprendeva il ciclo sopra descritto, questo da settembre al maggio successivo.
Era perciò indispensabile trovare una pomata, una crema, una qualsiasi cosa aiutasse a risolvere il problema delle tempie, orecchie e perché no anche del riscaldamento muscolare.
Le ricette, i balsami, le pomate utili allo scopo erano quindi oggetto di prove, verifiche e collaudi.
Mi ricordo una volta, nello spogliatoio del Frassinelle, il compianto Bobo Milani consigliò a tutti noi una pomata a suo dire miracolosa. Il Bobo era convincente, con voce bassa, sicura, lo sguardo dritto negli occhi, sembrava sapesse perfettamente cosa si doveva fare, il rimedio giusto: “Thò, fiol de na troia, prova questa, a mea dago sempre anca mi. L’è miracolosa, da quando ca la doparo a sento che ea me fa ben!”.
Il gergo era dottorale, ma efficace.
Così prendemmo il portentoso tubetto e centellinando la miracolosa crema ce la spalmammo nei punti essenziali: tempie, orecchie, cosce e polpacci.
Non leggemmo le indicazioni e le prescrizioni, non ce n’era bisogno, lo diceva il Bobo …
Fu dopo un po, quando eravamo belli lucidi di pomata, nonché assolutamente certi e fiduciosi degli esiti, che qualcuno, con tono alterato, esclamò: ”Ciò Bobo, che ca..o de pomata meto dà, a ghè scritto chea va ben par le rughe e le smagliature!”.
In quel momento, a dieci minuti dall’inizio della partita non ci sembrava il caso di toglierci la pomata, il Bobo se la cavò abbastanza bene, ci fu solo un vaffa collettivo e poi si andò a giocare.
Con la pomata per le smagliature di sua moglie.
Il Bobo non portò più la pomata, anzi non ne portò più nessuna ma soprattutto nessuno gliene chiese.
La miglior pomata fu comunque quella che usammo come Old Rovigo a Firenze.
Sul finire dell’estate a Firenze c’è un ambitissimo torneo Old over 50. Ambitissimo per via degli over 50, dell’ospitalità di quel club, della simpatia dei toscani e delle selezionate squadre partecipanti, ma soprattutto di quella ribollita inarrivabile servita al terzo tempo.
Dunque eravamo arrivati negli spogliatoi, ci cambiammo e qualcuno chiese se c’era una pomata, un unguento, della vasellina, qualcosa insomma che lubrificasse orecchie e tempie, scaldasse cosce e polpacci.
Qualcuno, di cui per carità cristiana non faccio il nome, propose l’unguento miracoloso di turno. Memore della pomata del Bobo la rifiutai.
La pomata aveva un colore, mi pare di ricordare, tra l’arancione e il rosa, un odore da … da … maionese tonnata.
Qualcuno se la spalmò fiducioso sul collo, le gambe, addirittura qualcuno con problemi respiratori se la passò sotto il naso, altri come me si rifiutarono esclamando: “Ma ea sa da maionese tonnata!”.
In quella stagione e forse in quel campo c’era un convegno, un’assemblea, un … che so … un concentramento di moscerini credo da tutta Italia.
Per chi non lo sapesse i moscerini vanno pazzi per la maionese tonnata.
Insomma durante ogni partita i nostri avversari, omacci barbuti o segnati da mille battaglie, ci chiedevano: “Aò e non sertite anche vvoi ‘sta puzza de maionese tonnata?”.
A quelli di noi senza la pomata scappava un sorrisino ironico, gli altri dotati del miracoloso unguento e immersi in una nuvola di moscerini rispondevano con mugugni e improperi di cui è meglio non ripeterne il contenuto e significato.
P.S.
Durante il viaggio di ritorno passammo per dei viali di Firenze abitualmente frequentati da signorine compiacenti, quella sera stranamente deserti.
Qualcuno si stupì.
Io una risposta la diedi a bassa voce.
Secondo me qualcuno in altre occasioni, aveva gradito la disponibilità delle signorine.
Constato che la nostra età media era abbastanza alta, eravamo mooolto stanchi, avevamo mangiato e bevuto abbondantemente, le signorine si erano ovviamente preoccupate di eventuali nostre soste di piacere, avevano insomma fatto tesoro dei nostri precedenti incontri.
Credo che per avere risultati appena apprezzabili in quel contesto, le signorine avrebbero dovuto impegnarsi per un tempo paragonabile alla fiera di Badia, due settimane.
Ore 20,00 i primi arrivi, i primi abbracci, sorrisi, i primi “come stai? La famiglia? Dove sei finito?”, poi un continuo susseguirsi di personaggi che varcano la soglia del Ristorante “Da Rossi” meglio conosciuto come “da Pepe ad Arquà Polesine” (Pepe Scannavacca per la precisione).
Non sono personaggi comuni o clienti occasionali, sono i “Veci Galeti Rugby Frassinelle” che venerdì sera si sono ritrovati per una serata all’insegna dell’amicizia, dello spirito e passione rugbystica cementata in tanti anni di militanza nella gloriosa Società gialloblu.
Sono tanti, quasi 50, che hanno risposto alla chiamata e chi è mancato per impegni improrogabili, ha già chiesto informazioni per quando sarà la prossima volta, nessuno voleva mancare…troppo importante… troppo sentita…la storia era lì ..presente, storia scritta con l’impegno, il sudore, con le corse sul vecchio campo lungo il Canal Bianco, negli spogliatoi “delle scuole”, nelle serate di nebbia, di pioggia, con i vari Lello Salvan, Tiziano Candiani, Giorgio e Angelo Visentin, Benito Vanzan, Doro Quaglio ad urlare, imprecare, soprattutto insegnare a vivere il rugby non solo come giocatori ma come uomini, non solo come pratica sportiva ma stile di vita.
Lezione che evidentemente è stata ben recepita se Aspor80 prima e Rugby Frassinelle poi, sono state in grado di sfornare un numero a dir poco invidiabile di giocatori che per il loro valore e doti hanno militato per anni in squadre della categoria maggiore, Rugby Rovigo, Petrarca Padova per approdare poi alla Nazionale Italiana ottenendo risultati altisonanti riportati negli annali della storia del Rugby Polesano e Nazionale.
Senza dimenticare poi che nel frattempo Rugby Frassinelle continuava a mietere successi anche in campionati minori, ma comunque di carattere Nazionale, arricchendo la bacheca di trofei non solo di metallo ma trofei fatti di episodi, storie di vita, di uomini, che sono il collante di questo splendido sport.
Le pietanze, splendidamente preparate da Pepe e famiglia, si sono susseguite in un crescendo di “Ti ricordi….?” “…e quella volta che….?” e la mente è ritornata a tempi passati ma ancora ben vivi, a tutti coloro che hanno avuto l onore di portare la maglia gialloblù del “Galletto”, alle serate passate sul campo con le acca, con il fango che non si stacca dalla scarpe bullonate, ai dopo allenamento e partita, agli aneddoti che ogni volta si raccontano e che ogni volta fanno ridere, tanto risultano comici…e ogni personaggio ha una storia, una sua storia personale che insieme agli altri ha costruito, condiviso fino a farla diventare la storia di questa Società che tuttora continua la sua attività potendo vantare oltre 200 tesserati ed un vivaio di circa 130 ragazzini che calcano gli stessi campi, vivono la stessa storia.
E’stata una serata scandita dalla gioia, dalla voglia di ritrovarsi, di continuare a rivivere un passato che ha fatto riemergere ricordi e persone, ricordi di gioventù dove sport andava a braccetto con goliardia ed impegno, ricordi di persone che con il loro carisma, la loro esuberanza, le loro qualità hanno lasciato un eredità sportiva e di vita alle generazioni di adesso. E nelle parole di saluto di Raffaello “Lello” Salvan, che ha voluto ringraziare tutti i partecipanti, è emerso l’augurio, lo sprone, l’incitamento a tutto lo staff dirigenziale e sportivo attuale di continuare, di mantenere alta la tradizione che vuole la Società Rugby Frassinelle fra le più blasonate e foriere di atleti, uomini.
L’ora si fa tarda, eppure c’è chi nonostante abbia finito di lavorare da poco, è arrivato, per un saluto, una stretta di mano, un abbraccio che sembra lo stesso che ci si scambia prima di entrare in campo..Ci si guarda l’uno con l’altro, chi con qualche chilogrammo in più, chi ancora in perfetta forma, chi ancora stupito che dopo tanti anni ci si ritrovi…è stata storia …e la storia si ripeterà…perché questo si sono ripromessi tutti.
Sempre 1979, questa foto è stata fatta in occasione di una partita disputata al Battaglini contro una squadra gallese. persa naturalmente.
Per l'occasione fummo rinforzati da dei ragazzi di Vicenza. Le maglie nere con finiture in giallo portavano il nome di una televisione locale famosa per gli spogliarelli dopo mezzanotte (ATR), nessuno li guardava però in molti alla mattina avevano le occhiaie.
Tornando da quella partita, dopo "qualche" birra in Borsa a Rovigo, con la Fiat 850 di "Mondo" Sprocatti, il primo in piedi a sinistra, tra la "Crosara" di Frassinelle e Fiesso proprio in mezzo alle curve, "parcheggiammo" in un fosso. La colpa fu della sequenza delle curve, finché erano una a destra e una a sinistra la birra ci aiutava a guidare, quando invece ci furono due curve a sinistra sbagliammo la seconda.
1979 foto del Fiesso Rugby davanti agli allora spogliatoi, l'anno dopo da questa squadra nacque il Frassinelle. Di quella squadra sono ancora a Frassinelle come dirigenti Dario Calzavarini, il primo in piedi da sinistra e io l'ottavo sempre in piedi da sinistra. Lello Salvan allenatore, dirigente e cofondatore di Fiesso e fondatore di Frassinelle è l'ultimo accosciato da sinistra.
Foto sotto, Fiesso con le maglie arancione e nere (due taglie più piccole del necessario) prima di non ricordo quale partita ma comunque sul campo di calcio di Fiesso. Gli spogliatoi erano quelli della palestra adiacente alle scuole elementari, per riscaldarsi c'era una stufa a legna, mi pare. Prima della partita si piantavano i pali e poi alla fine si toglievano, si pulivano gli spogliatoi e dopo si andava al terzo tempo. Dopo. E comunque tutti si davano da fare. Fu più o meno quell'anno che si fece la prima squadra giovanile, una under 15, aquile. Ero allora studente e con la mia 128 bianca portavo i ragazzi al campo, poi li riportavo a casa a San Bellino per poi ritornare a Fiesso ad allenarmi. Gratis naturalmente.
Pellegrinelli e Pengo
Fiesso - Venezia