Press gallery del Rugby Frassinelle
Incontro tra società Rugby Frassinelle e delegazione dei Risicultori del Delta
“Il riso è una delle piante alimentari più antiche, è originario del sud-est asiatico ed è specie di palude. L’introduzione in Italia sembra sia avvenuta dapprima nel sud ad opera degli Arabi e degli Spagnoli.
All’inizio la coltura veniva spesso attuata dai pastori che lo seminavano negli acquitrini attraversati in primavera durante i viaggi verso la montagna per poi raccoglierlo al ritorno, in autunno, in pianura.
La coltivazione del riso nel Delta del Po risale al 1400, anche se la produzione estensiva ed organizzata si sviluppò solo nel XVI secolo, per opera della famiglia degli Estensi, che riuscirono a sfruttare i terreni acquitrinosi che altrimenti sarebbero rimasti abbandonati.
Pochi decenni dopo la diffusione del riso nella pianura Padana (1450) compaiono le prime documentazioni sulla presenza di coltivazioni in Polesine, in particolare nel territorio del Delta del Po: infatti questa coltura era strettamente legata alla bonifica in quanto permetteva di accelerare il processo di utilizzazione dei terreni salsi da destinare poi alla rotazione colturale, come testimoniato da una legge della Repubblica Veneta del 1594.
L’affermazione delle colture fu notevole e divenne ben presto fonte di esportazione per molti stati. L’isolamento del territorio, la particolare natura del terreno emerso e il suo continuo espandersi per le torbide dei rami del Po nel corso dei secoli XVI e XVII, fecero del Polesine una terra eletta per il riso in quanto l’isolamento impediva la diffusione delle fitopatologie come il “brusone”, e la disponibilità di terre nuove consentiva la risaia avvicendata anche in presenza di terreni stanchi.
Quando il prezzo del riso, tra il 1825 e il 1835, superò il prezzo del grano, con incrementi che si protrassero per oltre un decennio, in Polesine la risaia superò gli 11.000 ettari di investimento. Sul finire dell’800 si riduce ai 6.900 ettari a causa del crollo del prezzo del riso per la concorrenza del riso orientale, la cui penetrazione commerciale fu facilitata dall’apertura del Canale di Suez e dalla riduzione dei suoli. La crisi così innescata prosegue nel 1900 si riduce a circa 2500 ettari nelle sole marine
Oggi le risaie del Delta del Po coprono circa 9.000 ettari di territorio, dove viene coltivato un riso della varietà “Japonica”, prevalentemente del tipo Superfino, nelle varietà Carnaroli, Volano, Baldo e Arborio, tutti con caratteristiche organolettiche particolari che li contraddistinguono dagli altri risi prodotti in Italia. L’influenza di questa coltivazione è presente nella cultura locale e nello sviluppo sociale dell’area; il riso viene confezionato e commercializzato da anni da numerose aziende con il nome «Riso del Delta del Po».
Le peculiarità del «Riso del Delta del Po» sono legate all’elevato tenore proteico, alla grandezza del chicco, alla elevata capacità di assorbimento, alla bassa perdita di amido e alla sua elevata qualità che determinano una buona resistenza durante la cottura.
Esso inoltre, presenta una particolare sapidità ed aroma che permette di distinguerlo da quello prodotto in zone non salmastre.
Pochi alimenti sono così versatili in cucina: a cominciare dall’antipasto per finire al dolce, con il riso si può preparare un pranzo intero, a patto, però, di saper scegliere il tipo giusto per ogni piatto.”
Circa seicento anni sono passati da quando è stato introdotto il riso nel polesine.
Seicento anni fa c’erano ancora gli Estensi, la Repubblica Veneta e lo stato della Chiesa.
Seicento anni fa non era ancora stata scoperta l’America.
Seicento anni sono sufficienti per affermare che il riso, alimento povero, ha accomunato le genti del delta più di quanto abbiano mai fatto la politica e gli stati.
Le ha unite partendo dalla fame di chi ha vissuto in un ambiente particolarmente ostile. Il riso, come la polenta, i molluschi, l’aglio, il radicchio, la zucca, raccontano di questa grande fame delle nostre genti mai soddisfatta ma limitata da questi prodotti poveri.
Povertà e miseria che hanno plasmato personalità e carattere dei nostri avi, laboriosi, umili e tenaci, numerose sono le prove che lo testimoniano, dai nostri emigranti in America Latina, nelle città industrializzate, fino alla grande bonifica dell’Agro Pontino.
Sono proprio queste caratteristiche così simili a quelle dei baschi francesi, dei minatori gallesi o dei montanari scozzesi che compongono l’humus su cui sono impiantate le radici del rugby in polesine.
Mi capita ogni tanto girando l’Italia di conoscere vecchi rugbysti che mi raccontano con ammirazione di quanto fossero duri e leali solo quelli del Rugby Rovigo e dell’Aquila veri uomini.
I tempi si sa che cambiano e sicuramente non saremo all’altezza dei nostri progenitori ma la nostra storia, le nostre radici sono quelle e ne siamo orgogliosi.
Dobbiamo esserlo.